GIOVEDI' SANTO
24 marzo 2016
Di null'altro mai ci glorieremo
se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.
Cfr. Gal 6,14
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.
Cfr. Gal 6,14
Codex purpureus Rossanensis, Lavanda dei Piedi, 550 ca |
Ore 08.30: Recita comunitaria dell'Ufficio delle Letture.
Ore 10.00: Santa Messa Crismale, presso la Cattedrale di Oria.
Ore 19.00: Santa Messa In Coena Domini.
Ore 22.00: Adorazione eucaristica guidata dai Fidanzati e dagli Sposi.
Ore 23.00: Adorazione eucaristica guidata dai Giovani.
Di seguito trovate una meditazione di Don Tonino Bello sul senso della Lavanda dei piedi, dal titolo: "Dalla testa ai piedi".
Carissimi,
cenere in testa e acqua sui
piedi. Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada,
apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e
faticosa.
Perché si tratta di partire
dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri.
A percorrerla non bastano i
quaranta giorni che vanno da mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre
tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Pentimento e servizio.
Sono le due grandi prediche
che la chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole.
Non c’è credente che non
venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai
pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i
simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.
È difficile, per esempio,
sottrarsi all’urto di quella cenere. Benchè leggerissima, scende sul capo con
la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel
richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”.
Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri
debbono essere ricavate dai rami d’ulivo benedetti nell’ultima domenica delle
palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all’accoglienza del Cristo,
al riconoscimento della sua unica
signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo,
diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione.
Quello “shampoo alla
cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i
capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul
guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del
nostro peccato.
Così pure rimane indelebile
per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino.
È la predica più antica che
ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di
stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e
spiare da vicino le emozioni della gente.
Una predica, quella del
giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca
di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica,
pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di
una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.
Una predica strana. Perché
a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà
umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie
consacrate.
Miraggio o dissolvenza?
Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo?
“Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre
scelte quotidiane?
Potenza evocatrice dei
segni!
Intraprendiamo, allora, il
viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo,
come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore,
mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri.
Pentimento e servizio.
Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua. Ingredienti
primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione
completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
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