MISSIONARI MARTIRI

 


24 marzo 2021: Giornata mondiale di digiuno e di preghiera

Ecco un video che vi aiuterà a conoscere la realtà della condizione di sacerdoti, religiosi e laici in missione, talvolta a rischio della vita.



Il 24 marzo 2021 celebriamo la ventinovesima Giornata dei missionari martiri. Nella stessa data, 41 anni fa, mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, veniva assassinato durante la celebrazione della messa, punito per le sue denunce contro le violenze della dittatura militare nel Paese.

Come il Santo de America ogni anno centinaia di donne e uomini sparsi per il globo rimangono fedeli al messaggio evangelico di pace e giustizia fino all’ultimo istante di vita; sono loro i protagonisti della celebrazione di cui Missio Giovani ogni anno si fa promotrice.
Di fronte al loro sacrificio una grande certezza ci raggiunge: ciò che accomuna mons. Romero ai martiri e a tutti i missionari è una scelta, un 
“Eccomi, manda me” rivolto al Padre del quale tutta la Chiesa si fa testimone.

Al principio di ogni missione c’è una vocazione che giunge alle orecchie di chi è pronto ad ascoltare, di chi ha un cuore pronto ad accogliere. La voce del Signore ci raggiunge insieme a quella di tutti i popoli che subiscono soprusi e ingiustizie. È la chiamata ad una vita di prossimità che celebriamo in questa occasione, il mandato che Cristo ci ha consegnato: annunciare in tutto il mondo la Buona Notizia.

Il sacrificio dei martiri è il segno tangibile che la propagazione della fede non è una crociata ma un abbraccio di culture, popoli e religioni, la totale disponibilità di sé verso l’ascolto e lo scambio reciproco, il soccorso verso chi è nel bisogno. Quando in queste dinamiche subentra l’odio, ecco che il martire fa la sua comparsa nella storia.

Il martirio in odium fidei è l’estrema conseguenza di una fede vera, umana e tangibile.
Se scrutiamo le vite dei missionari martiri spesso non troviamo imprese eroiche ma scopriamo gesti grondanti di speranza vissuti nella quotidianità ordinaria con parole che consolano il cuore e una vicinanza che sostiene.

I missionari martiri sono il faro che spinge le comunità cristiane a rivolgere lo sguardo verso gli insegnamenti di Gesù di Nazareth. Nella sua vita terrena, infatti, il Figlio di Dio ha incarnato un’esistenza priva di mezze misure: nel suo messaggio non troviamo posizioni intermedie tra l’indifferenza e la difesa dei poveri ma una scelta netta verso questi ultimi. 2000 anni fa come oggi la sequela del Maestro rimane un fatto di coerenza. Abbracciare la fede in Dio, lasciarsi guidare da essa, significa fare della fraternità il senso stesso della vita.

Sembra difficile di questi tempi essere convinti che la nostra salvezza possa trovarsi proprio in coloro che incontriamo lungo la strada, davanti la porta di casa o nel luogo più sperduto della Terra, eppure non c’è esperienza umana più significativa che lasciarsi guarire da un incontro.

Quando incrociamo uno sguardo, quando entriamo in contatto con gli altri, una dimensione naturale sembra emergere dal nostro inconscio: la prova tangibile che siamo fatti per essere fratelli. In quell’istante scorgiamo un confine posto poco al di là della nostra pelle: solcarlo è il più grande atto di fede che si possa compiere.

La testimonianza di coloro che hanno consacrato la propria vita al Vangelo fino ad essere disposti a perderla pur di non tradirlo, giunge fino a noi e ci parla di una fedeltà a Dio sempre corrisposta, ad un amore capace di sconfiggere le tenebre, di attraversare la morte e far risuonare i loro nomi e la loro storia nel nostro tempo.

Nella Scrittura diverse volte ci è rivolto un invito: non abbiate paura. Il profeta Isaia scrive: «Non temere, io ti vengo in aiuto». Parole che nelle difficoltà di ogni giorno tornano alla mente come negli ultimi istanti della vita dei martiri. È Dio che coglie le nostre fragilità e debolezze e corre al nostro fianco. Allo stesso modo anche noi possiamo farci portatori della bontà consolatrice del Padre ed essere dono per gli altri.

I testimoni della fede cristiana hanno percepito la presenza di Dio nella loro vita e per questo hanno abbracciato la stessa sorte dei perseguitati, degli impoveriti e degli ultimi. Hanno intrecciato le loro vite con quella del Padre e dei fratelli scegliendone lo stesso destino: non la morte ma la vita eterna.

Ciò che i missionari martiri ci lasciano in eredità è l’invito a riscoprire la bellezza che abita questo mondo. Ogni creatura è un immenso tempio di Dio sulla Terra, capace di accogliere, ascoltare e sanare le ferite. Entrarvi significa coglierne la ricchezza e farsene custodi.

Giovanni Rocca
Segretario Nazionale Missio Giovani

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