I NOSTRI VOLTI/9


Questa settimana conosciamo Vincenzo e Caterina Ruggiero


Vincenzo e Caterina, siete sposati da qualche anno. Come è nata la vostra storia d’amore?

Ci siamo ritrovati nello stesso gruppo di amici. Un gruppo di persone straordinarie, ci stimavamo molto tra noi. Tuttavia la personalità mia e di Caterina appariva sensibilmente diversa da quella degli altri. Per esempio loro amavano fare tardi, andare a ballare, stare in spiaggia… Noi no; noi eravamo più «tranquilli». Abbiamo un bellissimo ricordo di quel periodo; e non solo perché da lì …è nato tutto.


Avete una figlia?

Si, si chiama Maria Grazia e compie due anni tra qualche giorno. Il suo arrivo ha letteralmente stravolto le nostre abitudini: ricordiamo che qualche giorno prima che nascesse, una carissima amica ci disse: «godetevi questi momenti. Dormite, fatevi una passeggiata, guardate un film. Dopo, tutto ciò diventerà impossibile». Ed ebbe ragione.

A sei mesi dalla nascita, Maria Grazia cominciò a stare male e fu necessario un ricovero all’Ospedale Pediatrico “Giovanni XIII” di Bari. Le settimane passavano, ma non si arrivava a nessuna diagnosi: si ipotizzavano le malattie più rare e diverse volte si resero necessarie trasfusioni e ricorsi alla terapia intensiva. Abbiamo temuto di perderla.

Dopo quasi due mesi di ricovero ci trasferirono all’Ospedale Pediatrico «Meyer» di Firenze. Ricordo il trasferimento in ambulanza: io e mio marito seduti di lato e la bambina sulla lettiga che giocava col filo della flebo.

A Firenze le cose cominciarono a cambiare. Avevamo con noi una medaglietta della Madonna che nella confusione andò smarrita. Una mattina la trovammo tra le mani della bambina senza capire come avesse potuto giungere li.

Ad ogni modo al «Meyer» le condizioni della bambina migliorarono e dopo qualche settimana ci dimisero ché la piccola stava recuperando bene.

Ricordo che uscii da casa una notte d’estate per andare al pronto soccorso e quando vi rientrai il camino era acceso.

Ora Maria Grazia sta bene, necessita di qualche attenzione in più, ma sta crescendo senza particolari preoccupazioni.

 


Cosa facevate prima di fidanzarvi?

Vincenzo lavorava presso un laboratorio di analisi ed io insegnavo a scuola.

Ognuno di noi conduceva una vita molto semplice: stavamo molto in famiglia. Io spesso aiutavo i miei in campagna e Vincenzo poteva dedicarsi nel tempo libero ai suoi hobbies, come andare in bici. Anche io amavo molto la lettura. Ora tutto questo non riusciamo a farlo quasi più. Diciamo che avevamo più tempo da dedicare a noi stessi.

Io, poi, sin da piccola ho frequentato la parrocchia di «San Rocco», mentre Vincenzo, che è di San Vito dei Normanni, frequentava la Chiesa di «San Michele Arcangelo», una piccola rettoria a pochi metri della sua abitazione. Una delle primissime volte che andai a San Vito, Vincenzo mi portò dal rettore di quella Chiesetta. Ricordo che appena mi vide, don Antonio mi disse: «Ah… di Ceglie Messapica! I miei avi erano di Ceglie Messapica».

Vincenzo mi parla spesso di don Antonio Chionna, scomparso l’anno scorso all’età di novant’anni.

 

Quanto sono importanti le vostre professioni? Con quale spirito le vivete?

Sono molto importanti. Del resto la salute e l’istruzione sono cose fondamentali. Siamo consapevoli che – pur nel nostro piccolo – abbiamo una grande responsabilità. Certo l’emergenza COVID-19 ha complicato per entrambi un po’ le cose: il lavoro è diventato molto più faticoso e richiede molto più tempo; questo ha delle ricadute sulla famiglia. Mio marito in particolare esce di casa la mattina presto e rientra la sera, giusto il tempo per cenare e giocare un po’ con la bambina.


La fede ha avuto un contributo nella vostra storia a due?

Certo. La fede ci ha aiutato a vedere, in quello che di volta in volta ci accadeva, il disegno di Dio per noi.

In questi anni di vita coniugale, la fede di entrambi è cresciuta: ci impegniamo di essere dei buoni cristiani e di salvaguardare l’armonia e la pace in famiglia.


Come definireste oggi la vostra fede?

Non sapremmo. La fede si manifesta sotto diverse forme. Io sono forse eccessivamente razionale, Caterina, invece, molto più emotiva. Ad ogni modo ci sforziamo di leggere gli eventi con gli occhi della fede e ci impegniamo di «guardare la vita dall’alto, dalla prospettiva del Cielo, vedere le cose con gli occhi di Dio, attraverso il prisma del Vangelo» (Papa Francesco).

Viviamo un tempo che per certi versi è assai disorientante, sembra che non vi sia nulla di certo e tutto è relativo. In questo clima è difficile essere testimoni della propria fede, ma bisogna farlo, annunciando sempre che gli uomini sono destinatari dell’amore di Dio.



Avete qualche incarico in parrocchia? Cosa sta significando per voi?

Si, prepariamo le famiglie al Battesimo dei loro bambini. Abbiamo iniziato a fare questo in coincidenza col Battesimo di nostra figlia. Il dialogo con gli altri ci fa scoprire che l’uomo è comunque sempre alla ricerca di Cristo, anche se spesso manifesta questo in modo diverso, individuale e talvolta non immediatamente riconoscibile.


Il tempo della pandemia non è semplice. Cosa vi dite in coppia a proposito?

Mah…forse noi siamo troppo pessimisti. Io più di mia moglie. Spesso ho, infatti, la sensazione che questo evento, con tutti gli effetti che produce, sia l’inizio della fine del mondo.


Un augurio con tre parole per 2021.

Mi auguro che nel 2021 possiamo ritornare ad ammirare la natura: le piante, i fiori, il mare, il cielo, le stelle, affinché nelle bellezze del Creato si possa riconosce la bontà del Creatore. È la nostra Speranza che nella Fede in Cristo diventa Certezza.


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